BILANCIO PER INDICI A COLORI E SCACCHI

BILANCIO PER INDICI A COLORI E SCACCHI

ELABORATO DI BILANCIO PER INDICI A COLORI

SCACCHI

Si presume che l’origine del gioco degli scacchi sia antichissima. Pare che ben diciotto secoli ci separino da essa.

Dico presume, perché ancora oggi, nessuno storico o archeologo è in grado di poter asserire, con assoluta certezza, quando e soprattutto da chi, gli scacchi furono inventati. Ipotesi più accreditate riguardano tuttavia il dove.

Non ci si pensa, quando solleviamo quelle piccole figure in plastica o in legno, che i primi a farlo furono pastori e commercianti dell’antico sud asiatico, appunto, diciotto secoli or sono. Loro di plastica non ne avevano affatto, si sa, e si servivano perciò di trentadue pietre di quarzo e onice, finemente modellate in cavalli, alfieri, bastioni, re e regine, seguiti da tutta la loro corte di pedoni.

Poemi persiani risalenti al VI-VII secolo d.C. cantano di un antico gioco da tavolo che, per molti versi, regole e miniature, aveva tratti in comune con la versione moderna che conosciamo. Il suo nome era Chaturanga. Mentre la sua origine magica: l’India.

Senza soffermarci troppo sul quando e il dove, la domanda veramente intrigante, è senza dubbio il chi.

… Ma chi ha inventato gli scacchi?

Il “chi” nella storia e nei fatti che si raccontano è fondamentale. La nostra mente ha bisogno di un volto, di un essere; e quando non lo abbiamo, non c’è altro da fare che inventarcelo, chiamando la nostra invenzione “Leggenda”.

La leggenda, perciò, vuole che un nobile principe indiano si annoiasse della sua vita a palazzo. L’abbondanza e lo sfarzo che riempivano le sue stanze era commisurabile solo all’inerzia e alla vuotezza che queste lasciavano nel suo spirito.

Ozioso, fiacco … alla fine cedette, e lanciò una sfida al suo popolo.

Mandò i suoi messi in ogni città del suo regno e fece annunciare che avrebbe donato qualunque cosa richiesta a colui che fosse riuscito a farlo divertire nuovamente.

A corte si presentarono uno stuolo di personaggi d’ogni genere: stravaganti fachiri, improbabili maghi, spericolati saltimbanchi e così via, ma nessuno riuscì a rallegrare l’annoiato Principe.

Finché un giorno, si fece avanti un contadino: un umile del popolo. Questi aprì un cofanetto contenente trentadue figure di pietra variabilmente intagliate e una tavola con disegnate alternativamente sessantaquattro caselle bianche e nere.

“Vi porgo i miei omaggi, mio Signore, nonché questo gioco di mia modesta invenzione”.

Il Principe guardò perplesso il contadino e gli chiese spiegazioni sulle regole. Il contadino gliele mostrò, sconfiggendolo in una partita dimostrativa.

Punto sull’orgoglio il Principe chiese la rivincita, perdendo nuovamente. Fu alla quarta sconfitta consecutiva che capì il genio dell’umile uomo, accorgendosi per giunta che non provava più noia, ma che era talmente pervaso da emozioni da sentirsi come divertito. Memore della sua promessa, chiese all’inventore quale ricompensa desiderasse.

Il contadino, con aria dimessa, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all’ultima casella.

Stupito da tanta modestia, il Principe diede ordine al suo contabile di corte di fare i conti esatti, affinché la richiesta del contadino venisse subito esaudita.

Il contabile non si apprestò affatto a far di conto, anzi, volendo quasi porre sullo stesso livello le umili origini dell’uomo e le sue abilità mentali, saltò a pie pari alle conclusioni: “…Non è di sicuro una cifra che Vostra Grazia non possa permettersi. Si tratta di una richiesta irrisoria”.

I paggi, i cavalieri e gli scribi di corte ridacchiarono del contadino biasimandolo mentre il principe, fidandosi del suo ministro contabile, sogghignò pensando di aver fatto un buon affare e accettò di buon grado la richiesta.

Tuttavia, un giovane servitore alquanto sveglio, si mise in un cantuccio a fare i conti, e dopo qualche calcolo la meraviglia si stampò sul suo volto. Il risultato finale (20 + 21 + 22 + 23 + … + 263) infatti era uguale alla quantità di grano ottenibile coltivando una superficie grande 7 volte il pianeta Terra!

Una volta che furono mostrati i conti esatti, il principe, non potendo né materialmente esaudire la richiesta dell’esoso contadino, né sottrarsi alla parola data, diede ordine di giustiziare immediatamente il proprio frettoloso contabile e naturalmente, risentito della propria stupidità, l’inventore degli scacchi.

BILANCIO PER INDICI A COLORI

È evidente, che il nostro leggendario e poco fortunato ministro delle finanze indiano, fosse di secoli e non solo di miglia, molto lontano dal matematico Pacioli. La sua malsana abitudine di dare giudizi affrettati su sé fosse possibile o no, sostenere i costi del proprio principe, è segno che di metodi di valutazione del bilancio e di analisi dei sui indici, non ne sapesse proprio un fico.

Chi è avvezzo alla contabilità ordinaria, e soprattutto al redigere un bilancio di fine esercizio, sa, che uno sguardo riservato al solo utile (o risultato economico positivo), può trarre facilmente in inganno quando si giudica il buon andamento di una S.R.L.

Il povero ministro, di certo, non aveva a che fare con un’azienda moderna, ma con un principato; poco importa, la morale della storia (o leggenda) è che le apparenze ingannano comunque!

Se c’è una cosa che gli scacchi insegnano è l’arte di saper realizzare un equilibrio dinamico. I pezzi dello stesso colore (che appartengono quindi ad uno dei due giocatori), affinché apportino una buona difesa al proprio re, devono essere piazzati in case strategiche in modo tale che le loro forze di mutua interazione siano sempre bilanciate. Questi, al contempo, per poter esercitare un attacco efficacie, devono possedere la massima mobilità possibile: uno deve ostacolare il meno possibile l’azione a distanza o la traiettoria dell’altro.

Se si accettano questi parametri come verità assiomatiche, ci si rende immediatamente conto di come possano trovare una loro diretta interpretazione anche nella nozione di equilibrio aziendale, (realizzato dalla presenza simultanea di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale).

In primis, più legato alla difesa, troviamo il concetto di equilibrio patrimoniale. Questo viene conseguito quando l’attivo corrente è maggiore o uguale ai debiti a breve scadenza e al contempo, quando il capitale permanente, (debiti a media e lunga scadenza + patrimonio netto), è maggiore o uguale all’attivo immobilizzato. Si osserva così che tra impieghi e fonti si genera come una coppia di forze in grado di mettere in rotazione una “ruota immaginaria”: l’immagine simbolo di equilibrio dinamico.

ruotaL’azienda punta a fare in modo che tale ruota (che possiamo chiamare stato patrimoniale) non si sgonfi mai e che continui a girare.

Per analizzare l’equilibrio patrimoniale si utilizzano diversi indici (o bilancio per indici a colori), i più vicini al concetto di difesa scacchistica sono certamente quelli di elasticità e rigidità degli impieghi. Entrambi, in versi opposti, analizzano quanto un’impresa si adatta o meno ai cambiamenti del mercato. Se una difesa è troppo statica o rigida, come può esserlo un’azienda, allora si adatterà a fatica alle pressioni che il nostro avversario realizzerà, rendendo l’organizzazione di un contro-gioco difficile da attuare.

Altra ruota su cui poggia un’azienda è senza dubbio quella del conto economico, il suo equilibrio (equilibrio economico) si realizza quando i ricavi sono maggiori dei costi. In termini scacchistici parliamo di “qualità posizionale”. Rispondiamo di fatto alla domanda: quanto la mia strategia può essere commutata in eventuali tatticismi che mi portino alla vittoria (= utile)?

Attenzione, l’accento non è posto su quali tipi di tatticismi si possono realizzare, ma sulla potenzialità di realizzarne: sulla redditività.

In merito a tale parametro l’azienda calcola il ROE. Tale indice è il prodotto del ROI (redditività di tutti gli impieghi), del Leverage (come finanzio gli impieghi? Con capitale proprio o finanziamenti?) e dal IGNC (peso della gestione non caratteristica sul risultato economico dell’esercizio). Se al posto di impieghi parlassi di tattiche attuabili data una posizione dei pezzi sulla scacchiera, allora direi che il ROI sono quante manovre vincenti si possono realizzare data la mia posizione; il Leverage, quali e quanti pezzi dovrei utilizzare per realizzare ognuna delle manovre; mentre l’IGNC mi indicherebbe in che grado, per ognuna di tali manovre, andrei ad inficiare la bontà della difesa che ho organizzato. In altri termini l’IGNC mi direbbe se il far partecipare un certo tot di pezzi all’attacco minerebbe significativamente le mie difese portandomi a perdere (= perdita).

L’obbiettivo aziendale, e in questo caso dello scacchista, sarà quello di massimizzare il prodotto di questi 3 indici che sono strettamente interdipendenti.

Nella logica di una partita di scacchi si hanno due capisaldi: la strategia e la tattica. La prima discende da aspetti posizionali e riguarda la creazione di un piano, la seconda è come trasformo il mio piano in vittoria. Ora che i miei pezzi sono ben distribuiti cosa devo fare per vincere? Quali sono i miei punti deboli? Riesco a difenderli? Quali sono quelli del mio avversario? Quando e come posso attaccare? Ecco, rispondere a tutte queste domande equivale a pensare in termini tattici. Similmente, pensare in termini tattici, dal punto di vista dell’analista, prevede l’accurata analisi e la corretta interpretazione degli indici di bilancio. Solo dopo tale step si può decidere cosa fare, come farlo e nel caso, cambiare strategia.

Quando si passa dalla strategia alla tattica allora ci si deve curare di alcuni aspetti che sono in parte correlabili al concetto di equilibrio finanziario, in cui le entrate monetarie devono essere maggiori delle uscite.

Ad esempio, si può parlare di entrate che eccedono le uscite quando una tattica porta al guadagno di materiale: ottengo un pezzo in più rispetto al mio avversario.

In modo più sottile si può parlare del contrario, e mettere in gioco il Current Ratio, (che mi indica se l’attivo corrente è in grado di coprire i debiti a breve scadenza). Durante una partita posso sacrificare un pezzo; scegliere una tattica tagliente che mi porti a cedere materiale anziché guadagnarlo: andare in debito. Il fine è quello di raggiungere in breve tempo una posizione che mi assicuri la vittoria. In questo caso il concetto di equilibrio finanziario si amalgama con quello di equilibrio economico, genera rapidamente un utile giallo che porta acqua fresca all’albero dello stato patrimoniale.

In conclusione … a voi la mossa!

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